domenica 9 dicembre 2012

Dopo la neve





Appunti erotici mentre il treno corre …

 *
 
Si scioglierà la neve
E rinascerai così
Ad occhi aperti il buio si attraverserà
Torna a parlarmi dolcemente
Stringo aria, stringo niente
Senza di te

[Anna Oxa, Dopo la neve]

http://youtu.be/y5MCH9Mci6M


(8 dicembre, viaggiando)

Giornata freddissima, quella odierna. Ho registrato, sul viso e sul mio telefonino, i segni e le voci di un vento fortissimo, impetuoso, impertinente. Ne posso così riascoltare la forza, interpretare parole trasformate in alito e soffio, in quel grigio suo turbinare. E poi ho incontrato la neve, tanta ... fiocchi soffici ma gelidi, punture di ghiaccio, purezza che, toccando terra, si sporca e si macchia, come tutti noi, vivendo. Il treno corre e, talvolta, sembra quasi un rompighiaccio, con il suo ondeggiare tra fili elettrici da cui raspa via neve gelata. Fuori dal finestrino, il mio sguardo assente compone un puzzle di panorami e luoghi noti, mettendo assieme luci giallastre e lingue bianche che la sera trasformerà in temibili lame di ghiaccio.

Osservo la copertina di un giornale, e mi sembra di vederti. Ripenso a quei tuoi capelli, ricci e da sgrovigliare, foresta nera corvina che mi ha travolto in più di un'occasione e che si impossessa dei miei sguardi quando vagano, tra gente sconosciuta, per riconoscere chi vorrei mi fosse accanto.
Immagino i tuoi occhi ricolmi di un verde intenso, e quel sorriso, impreziosito da labbra rossissime, un po' ingenuo e un po' malizioso, con cui mi hai fatto capire di volermi. Basta poco, lo sai, e le mie fantasie, di cui sei improbabile ma unica e discreta protagonista, si scatenano all'improvviso, maledettamente perverse. Ti penso e la scrittura sembra sfuggirmi di mano, diventa necessaria, urgente, un'esigenza simile a respirare, comparabile a quelle voglie intense che ti colgono improvvise, costringendoti a masturbarti fino al completo svuotamento. Le parole, che inizio a scrivere su un foglio di carta, partono sempre dalla donna impeccabile che appari ogni giorno, quando sei madre attenta e donna senza ombre, e finiscono all'altro capo di te, quello che hai scoperto un po' tardi, quello che ti spinge ad essere affamata e troia, senza inibizioni. Ed è accanto a questa femmina compiuta che la mia scrittura erotica trova rifugio, comprensione, accoglienza, pazienza di ascolto. Trova soprattutto risposte, perché giochiamo ad intessere fantasie vicendevoli, l'uno punge e l'altra reagisce, in un vortice a spirale, che si fa stimolazione incessante, trasfusione di parole che aiutano a sopravvivere, a riempire i vuoti che non possiamo colmare assieme ...

Nevica, in questo chalet di montagna, sperduto, volutamente irraggiungibile. Le nostre automobili sono ricoperte di neve, e tutt'attorno c'è il silenzio tipico delle montagne, quel suono leggero e smorzato di lievi fiocchi che si depositano delicati, stratificandosi poco per volta.
Esco in terrazza, e raccolgo un pugno di neve.
Lo porto qui, accanto al tuo corpo nudo, beatamente rilassato in attesa del banchetto, dell'ingordo nutrirci attraverso il filo erotico delle reciproche voglie.

Vampiri di desiderio, io e te.

Pensa a quale delirio provocherebbe una manciata di questa neve adagiata sulla tua fessura bollente ... si scioglierebbe, la scioglieresti, urleresti per il freddo pungente man mano che i granelli andrebbero a depositarsi sulle carni bollenti e poi domeresti quella sensazione dolorosa restituendoti liquida, acqua intrisa di voglie, colata lavica di distillato, trasparente, salato piacere.
E vorrei spargerne altra, di neve, proprio lì, sul tuo ventre accogliente, nel pozzo oscuro dell'ombelico già intriso dai sudori del nostro primo delirio. Impossibile calmarci, quando riusciamo a mettere insieme poche ore tutte per noi. Io e te ci siamo necessari e bastevoli, indispensabili per placare l'attesa, la distanza, l'ansia, per trovare uno sfogo a quella disperazione che imbratta i nostri occhi mentre pensiamo "ti prego, troviamoci ovunque, e prendimi". Iniziamo sempre così, rabbiosamente, l'uno nell'altra, senza parole, penetrandoci con un colpo secco, immediato, e poi, stingendo la rabbia del possesso, trascorriamo istanti eterni incastrati dentro di noi, in un gioco di sguardi che genera osceni propositi, e lenti movimenti per conficcarci fino in fondo, fino a dove ci sarà consentito. Vi sarà mai un limite, al nostro entrarci dentro?

Nevicarti addosso ... è questa la fantasia che la mia mente compone mentre il treno corre, mentre scorgo neve dappertutto. Avrei voglia di inondare il tuo seno di tanti pizzichi ghiacciati, scariche di piacere a cadenze impreviste. Urlerai ma non potrai muoverti, e del resto mi hai chiesto tu di legarti le mani sopra la testa con il foulard rosso con cui, all'arrivo, ricoprivi la tua inebriante e profumata scollatura. Sei arrivata qui, pazza e paonazza, indossando solo quel foulard rosso come le tue unghie, e quel piumino lungo fino alle ginocchia, a nascondere una pressochè totale nudità di intimo e vestiti. Che puttana sei, quando ti impegni a sedurmi, quando godi a vedermi schizzare voglia di sesso impellente dagli occhi, frustato da immagini tanto intime che difficilmente riuscirei a rendere con la scrittura.
Ti colpisco ripetutamente, polverizzando cristalli di neve sul tuo seno. Hai i capezzoli già inverosimilmente gonfi, tesi come chiodi, estroflessi come mai avrei supposto. Apro la bocca e lascio uscire dalle labbra dischiuse un po' della mia lingua umida, senza tuttavia sfiorarti. Voglio vederti inarcare la schiena per umettarti della mia saliva, per costringerti a toccarmi la punta della lingua dopo un sospiro infinito di sforzo e piacere. Lo farai, e solo dopo aprirò le labbra lasciandomi scopare dal tuo seno grande, così materno e ancora sodo. Vuoi essere morsa, non ti serve a niente la dolcezza e la morbidezza della mia bocca. Lo so, lo so bene, mi hai ripetutamente spiegato che non devo più essere tenero e mieloso, non sono un bambino, non sei mia madre. Inizio piano, senza premere eccessivamente, ma i tuoi occhi mi istigano a continuare, a portare questa dolce perversione fino ai limiti di un urlo di dolore, fino a quel "basta" che farà da anticamera alla nostra nuova congiunzione carnale.
Mordo, succhio, ti attiro a me, lasciandoti poi il dolore dello strappo. Cerchi di sopportare, e godi senza freni.

Non ne resta molta, di neve sul piattino, accanto a noi, ai nostri corpi nivei, pieni di rossori d'eccitazione, e il tuo di delicate efelidi. L'ultima scia di neve la dedicherò al tuo collo, alle labbra, a bagnarti la fronte che ormai brucia. Chiudi le palpebre, ti prego, e lasciami scorrere i contorni dei tuoi occhi, i lineamenti del viso, quelle lievi rughe che sono la tua bellezza, la tua età, il senso di un percorso di maturazione. Lascia che i miei polpastrelli freddi, per scaldarsi di te, traccino ogni tuo angolo e rilievo, lo memorizzino, e se lo scolpiscano dentro, per quando non sarai che il calore di un pensiero.

La neve, qui sul letto accanto a noi, si è ormai sciolta.

Ritorno a me, al treno che corre, alla vita che tornerà la stessa. Prima di scendere, ancora con la mente adagiata sulle immagini di noi tra la neve, compongo un breve sms per dirti, così, semplicemente:

- vorrei essere neve, per sciogliermi nel calore del tuo corpo ...

I sogni, e le fantasie te le scriverò non appena giunto a casa, partendo da questi appunti.

Ti andrà di rispondermi, anche questa sera, anche questa volta?

Eclissi Infinito

domenica 11 novembre 2012

Les Chansons de Bilitis



Lascerò il letto come ella lo ha lasciato, disfatto e sfinito, le lenzuola in disordine, perché la forma del suo corpo resti impressa a fianco della mia. Fino a domani non mi recherò al bagno, non porterò vestiti e non mi pettinerò, perché le sue carezze non si cancellino. Stamattina non mangerò e neppure stasera, e non metterò sulle labbra né rossetto né cipria, perché vi resti il suo bacio. Lascerò chiuse le persiane e non aprirò la porta, perché il ricordo rimasto non se ne vada con il vento.

PIERRE LOUYS, "Les Chansons de Bilitis, 5 Le passé qui survit

Quando un uomo scrive di amori al femminile ... tra l'altro, da questo libro è stato tratto un film, del 1977, intitolato appunto "Bilitis", regista il fotografo David Hamilton. Qualche delicatissimo stralcio può essere respirato su Youtube, per esempio all'indirizzo

http://youtu.be/RScsIWLZU_k


E ci sono incontri ... e ci sono baci ... in cui i sapori si fondono, si confondono, si mischiano, si appiccicano. Dita che entrano ovunque, aprono, dischiudono, raggiungono (nel tentativo impossibile di impadronirsi dell'anima), e guance che, nel rossore di un delirio amoroso, si ricoprono di carezze, di segni invisibili, mentre l'altro essere si cristallizza su di noi.

Andarsene lasciandosi addosso una pellicola del peccato che siamo stati assieme, giusto per non farsi dimenticare subito, quando riprenderò quel treno che ci porterà lontano, mentre la testa ristabilirà il controllo totale, e le immagini di quel contatto indimenticabile, vivido e profondo saranno restituite solo da flash di emozioni, improvvise, incontrollate.

Chi eravamo, e dove ... e perchè ...

E resterai, sfinita e sfatta, su quelle lenzuola candide, a cercare tracce di capelli sul cuscino, e una fragranza agrodolce, scoperta per la prima volta.

Ricordi quando ti toccavo ed eri pronta, aperta, e via via che i corpi si raccontavano, ti aprivi di più, ti allargavi, ti amplificavi?
Ricordi, i rumori di quelle onde, i suoni del tuo ventre, gli sciabordii di quella marea incontenibile che biancheggiava in te?
La tempesta non passava più, bastava un contatto delle mie dita e dopo poco eri "strada aperta e bagnata avida di te", come nella canzone di Anna.

Dov'eri? Dove eravamo, io e te?

Volevi il tuo sapore su di me, e ci sei riuscita. E' qui con me.

Purtroppo non basterà lasciar chiuse le persiane e mettere lucchetti alle porte, per impedire che il ricordo di me evapori con il vento ...

Le tende della tua camera oscillano, nel silenzio circostante, rotto solo da un lontano sferragliamento del tram ...
e sbattono, libere, quelle che abbelliscono questa carrozza ferroviaria, mentre mi sento soffocare, dal caldo e dalle emozioni.

Tra quanto, sparirà il ricordo di noi?

Eclissi

http://youtu.be/jdr69HtcNyw

domenica 28 ottobre 2012

Siilo in maniera estrema



Sii malvagia, sii coraggiosa, sii ebbra, sii sfrenata, sii dissoluta, sii dispotica, sii un'anarchica, sii una fanatica religiosa, sii una suffragetta, sii quello che ti pare, ma per amor del ciclo siilo in maniera estrema.

Vivi vivi pienamente, vivi appassionatamente, vivi disastrosamente au besoin"

[Violet Trefusis, Anime Gitane, lettere d'amore a Vita Sackville-West, Archinto]


Riprendendo in mano questo libro, giallo ocra stinto in una giornata grigia e freddissima, ho provato a verificare tra la mia corrispondenza se mai ne avessi scritto qualcosa, a riguardo, e a quando risalisse quell'acquisto. Luglio 2007 ...

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"Treno, sole altissimo nel cielo, il Golfo era uno spettacolo. E sono arrivato a destinazione con il sole che ancora non voleva andare a nanna. Mi sono immerso in un libro comperato stamani, "Violet Trefusis, Anime Gitane, Lettere d'amore 1910-1921, Archinto". Non immagini il piacere di leggere gli scritti di Violet sedicenne.

"Ti amo, Vita, perchè ho visto la tua anima".

E' stato un vero piacere, e un continuo brivido, pizzichi di fulmini cerebrali nella solitudine di un viaggio che non volevo essere scalfita neppure dallo sguardo dell'ignara ragazza dirimpettaia. Conosci bene la storia del loro amore saffico, ne abbiamo parlato a lungo, in passato. Leggo di un suo viaggio in treno, la scrittura di quel cuore palpitante e delirante ...

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Men tiliche, al ritorno in treno ... mi sono sentita improvvisamente svenire. Ti voglio terribilmente. Ti voglio in tutti i sensi, ma ti voglio tremendamente. Sai come. Non hai idea di come stia. Ho cercato di spiegartelo a Monte Carlo. Bisogna fare qualcosa. Molte cose che mi riguardano non le capisci. Sono passionale in modo sfacciato, 'quanto' immagino che tu neanche lo sappia. Non vorrei che tu lo sapessi. Tutta la forza della passione è incentrata su di te. Ti voglio, ti desidero, oltre qualsiasi altra cosa, come non ho mai desiderato nessuno nella mia vita. (Non riesco a vedere nessuno, nemmeno se ha una bellezza comune, senza emozionarmi, pensa cosa mi provochi tu.) Nella galleria ho chiuso gli occhi e mi è sembrato di sentire che ti piegavi su di me per baciarmi sulle labbra.

Oh Mitya, mon amour, ma vie, reviens. Il faut que tu reviennes.
Parfois, avant de m'endormir, à force de te désirer, je finis par sentir ton corps allongé à mes côtés, toute la tiédeur de ta chair frémissante, les baisers de ta bouche, et les caresses de tes doigts, et je défaillis, et je me sens sur le point de mourir ...
N'éprouves-tu jamais de telles sensations, voyons, un peu de franchise?
C'est que je te 'veux' que c'est de la frénésie! Il y a des jours entiers ou je ne pense qu'à cela. C'est de la démence, tout ce que tu voudras, mais aussi j'en meurs. Je suis sûr que tu n'as jamais rien éprouvé de tel.
Mon amour, ma joie, reviens, le t'en conjure!

(Oh Mitya, amore mio, vita mia, ritorna. Devi ritornare. A volte prima di andare a letto, a forza di desiderarti, finisco per sentire il tuo corpo stendersi accanto al mio, tutto il tepore della tua carne fremente, i baci della tua bocca, e le carezze delle tue dita, e mi sento di svenire, e sul punto di morire ... Non provi mai queste sensazioni, dai, in tutta franchezza? E' che ti voglio. Ti voglio fino a delirare. Ci sono interi giorni in cui non penso ad altro. E' follia, chiamala come vuoi, ma mi fa morire. Sono sicura che tu non hai mai provato nulla di simile. Amore mio, gioia mia, ritorna, ti scongiuro!)

**

Scrittura moderna, giovane, che entra direttamente in circolo, nel sangue, nel cuore.

E il freddo di queste ore lascia il posto al calore di due cuori femminili, che battono quasi all'unisono per produrre pagine uniche a riflettere vita, incontri, baci, distacchi, deliri e malinconie.

Un pensiero a tutte coloro che, in treno, stanno ritornando sotto la pioggia, dopo aver scambiato il bacio che volevano, pensieri in movimento, ma con quella felicità unica che non scivola subito via, dopo l'amore.

Eclissi

Destino



Per me, per noi, il 'destino' non può essere un'idea vana. È affermare che l'amore occupa un posto centrale nell'universo. Altrimenti, non ci resta che rassegnarci al caso, soccombere davanti al potere dell'oblio e lasciare il futuro nelle mani delle ombre.

Una volta, dopo averla baciata, le lessi in un sussurro che conservava ancora la dolcezza del bacio: "Pensa alle migliaia di anni che sono stati necessari perché la pioggia, il vento, i fiumi e il mare trasformassero una roccia in quella sabbia con cui stai giocando. Pensa ai milioni di esseri che sono stati necessari perché le tue labbra ardessero sotto alle mie".

Lo ricordo, Marina, e ricordo come mi baciasti ancora dopo che io l'ebbi letto, e ora le mie labbra ardono di desiderio insoddisfatto, di amore devastato, di solitudine, di nostalgia per il giardino perduto della tua bocca.

[Irene Gonzalez Frei, Il tuo nome scritto nell'acqua, TEA]

Una frase che mi piacque molto, in un libro che non ha moltissimi anni ma che non è semplice da trovare.

Penso al destino, alla nostra lotta quotidiana per la sopravvivenza, per illuminare l'oscurità della vita, per cogliere un bacio, per non adagiarci nell'oblio che dicono aspettarci, se solo mollassimo tutto.

Un bacio. Atteso prima, in modo delirante, e dopo perso, come tante cose, in questa esistenza. Costruire incontri, relazioni, fili e poi ... così, vederli volare via, come bolle di sapone che ci sfuggono dalle labbra con un soffio, e corrono altrove.

E' la vita. E' questo che ci chiedono qui sotto, in questo teatrino ambulante che chiamano vita.

Bello, leggere dei forum e trovare così tanti esseri che cercano semplicemente un bacio. Cercano di allacciare fili, provano in tutti i modi a lanciare messaggi in bottiglia, a dare disponibilità a illuminare ciò che, attorno, pare enorme, ma solo apparente, buio.

Eclissi

domenica 7 ottobre 2012

Al cinema muto - The Flesh and The Devil



Scorrono immagini in bianco e nero, sul grande schermo posto davanti ai nostri visi attenti. Siamo entrati furtivi, mano nella mano, in questo piccolo cinema, in una città ai margini dei nostri sicuri e protettivi sentieri. Io e te, perfetti sconosciuti al mondo che ci circonda, e anche l'uno per l'altra: soprattutto, tra noi. Chi siamo, davvero, io e te?

E chi avrebbe potuto immaginare che, in un giorno nebbioso di un anno qualunque, in un ottobre piovoso, ci saremmo venuti, in questo posto, e avremmo passeggiato sotto i portici e lungo le morbide anse del fiume che scorre quasi immobile tra i salici, fissando vetrine e occhi curiosi, sfiorando altri noi che camminano spauriti, talvolta disperati, alla ricerca di un istante di paradiso?

Gli istanti di paradiso ... ne riusciremo a costruire uno, uno solo per noi, oggi, costretti come siamo a correre all'impazzata, per la gran parte dei giorni, senza quasi più emozioni e brividi? Rifletti su come viviamo, io e te ... è un continuo zigzagare per evitare improvvise cadute di vasi di dolore, posti bellamente in bilico sul bordo di mutabili balconi di malinconia, da quel dio burlone che ci ha gettati qui sotto, senza rete. Bel Burattinaio, Lui, impegnato com’è a spostare, depistare, intorcinare le nostre azioni, e ad osservarci legare e slegare fili intimi di relazione e comunicazione. Costretti, noi, ad indossare maschere in continua evoluzione, nel teatrino che chiamano vita. Attori o comparse, poco conta, in un cinema del nulla, muto e vuoto come le nostre esistenze; tutte, e per tutti, a scadenza definita, prima del silenzio eterno.

Nebbia, fuori da questo cinema, il grigiore del mondo che si è fissato nelle nostre ossa, mentre percorriamo i pochi metri che dalla stazione ci separano da questo teatro. Senza guanti, tu, e così ho tolto i miei e ti ho lasciato accarezzare la mia mano, calda, viva, delicata. Pulsa il sangue, in me. La senti, vero, la mia voglia della tua pelle? Ho i brividi mentre mi insinuo lungo le tue falangi gelide, fino a quelle gocce rosse di smalto, stese con cura su unghie di donna abituata a graffiare, anche in amore. Bello, camminare come due innamorati, a braccetto, per strade deserte, rese un po’ scivolose da foglie ingiallite, spiaccicatesi al suolo dopo un volo trepidante e tremolante, dalla vita alla morte. Ed io e te, vivi, oggi. Qui.

Abbiamo accarezzato per giorni questa voglia di fuggire da tutto e tutti per isolare i nostri pensieri, per allontanare problemi e quotidianità, coi telefonini imbavagliati per qualche ora. Voglia di silenzio, di pelle, di noi. Un uomo e una donna, liberi di essere come si sentono. Liberi di darsi il Tutto e il Niente che desiderano.

E così ti ho voluta, assieme a me, in un cinema. Poltroncine rosse, e il vuoto davanti a noi, mentre siamo seduti come ragazzini in ultima fila, giusto per non essere osservati da occhi indiscreti. Ma che stupidi ... e chi mai verrebbe a cercarci, qui, in un cinema vuoto di periferia? Chi potrebbe sapere di noi, in un posto che tra poco si immergerà nei primi vent'anni del secolo scorso, e i cui contenuti non interessano quasi più a nessuno?

Ti siedi, sfilandoti l’ampio cappotto, ed accavalli le gambe, sistemando la gonna molto corta dal tessuto elastico, e stirandola verso il basso, con un lieve ancheggio. Credo tu l'abbia scelta per potermi osservare, con la coda dell’occhio, mentre incedi ondeggiando sulle nuove scarpe coi tacchi a spillo. Volevi essere ammirata, oggi, sinuosa ed elegante, bella per me, e sai cogliere il mio sguardo rapito, estasiato. Mi accomodo anch’io e mi va di accarezzarti i lunghi capelli, mentre suona la campanella che avverte dell'inizio della proiezione. Con naturalezza porti la mia mano sinistra tra le tue, sotto il cappotto che hai steso come una calda coperta sopra le nostre ginocchia. Mi sussurri, con un filo di voce, che vuoi sentire il mio palmo bruciante premere sulle gambe e sfiorarti le calze velate, risalendo dove troverai solo un lembo di carne, delicata ed umida. E mi baci, all'inizio delle labbra, sfiorandomi con la lingua e sfuggendomi l’attimo successivo, quando avrei voluto ricambiare, penetrarti tra le labbra dischiuse. Sorridi maliziosa e provocante, hai capito che ora so della tua voglia, e sono prigioniero delle tue mani e della tua pazzia. Godi per essere stata tanto spudorata esponendoti fino a dove non mi sarei mai aspettato: non indossi intimo, e probabilmente ti sei anche depilata integralmente, forse per rendere più vividi i contorni della soglia oltre la quale non potrò spingermi, e dovrò bruciare per l’attesa.

La Carne e il Diavolo ...  il corpo e la passione ... mi stai tentando senza porti domande, senza inibizioni, un po' puttana, sicuramente inattesa. Apri le mani, che prima bloccavano le mie, e lasci salire ancora la gonna, allargando le gambe con un sospiro di liberazione che riempie il tuo petto e lascia vibrare il seno, sotto la camicetta bianca aperta per metà. “Avvicinati e affonda in me”, sembri sussurrare con quell'ansito di piacere.

Le luci si spengono, e le mani di un pianista iniziano ad accarezzare i tasti bianchi e neri, solo una luce sullo spartito. Poi, l'orchestra, clarinetti, violini ... oh, non ti avevo detto che stasera avrebbe suonato un'orchestra dal vivo ... è nascosta nella buca, sotto il palco. La vedi? Quel posto, sai, qualcuno lo definisce “golfo mistico”, chissà mai perché. Quei maestri musicheranno, anche per noi, un film muto. Anche questo, hai ragione, non te l'avevo accennato, era la sorpresa che ho tenuta nascosta fino alla fine. Ma la vera sorpresa, ora, sei tu. Che approfitti del buio per reclinare il capo alla ricerca del mio viso, lasciando cadere i capelli fini e lisci sulle mie spalle. Avverto il tuo profumo, il sapore del tuo rossetto tra le mie labbra, la voglia di dirmi che oggi sarai tutta per me. Compare e scompare la tua lingua, che sfiora la mia e poi sfugge ancora, passando dal lobo delle orecchie, al mento, fino alla base del collo, lasciando una scia di saliva calda. “Bava di ragno che tesse la tela”, scriveva Alina Reyes in un suo noto libro.

Nessuna voce, nessuna parola, nessun dialogo, sullo schermo. Parlano gli sguardi e gli occhi, nella pellicola,  le tue labbra avide e le mie mani tremolanti, lungo le tue gambe. Lenta risalita verso il paradiso.

Conosco bene questo film, vive di luce, di bellezza e fascino, coniugate al maschile e al femminile. C'è la scena del ballo, molto nota, in cui lui, mentre abbraccia la donna amata, posa l’attenzione sullo sguardo bruciante, acceso, erotico, di una perfetta sconosciuta dal viso brilluccicante ... ne nasce un incrocio mortale di fulmini visivi che innescano una tremenda tempesta di possessione. Perché, da uno sguardo così violento, così invitante, che mette a nudo, non possiamo quasi fare a meno di conoscere l'anima che vi sta dietro?

"La carne e il diavolo", è proprio questo il titolo della pellicola i cui fotogrammi illuminano le nostre voglie.

Si tratta di un film del 1926, straordinariamente sensuale. Loro, gli attori protagonisti, sono Greta Garbo e John Gilbert ... magnifici, bellissimi. Un tempo rabbrividivo pensando ad un film in bianco e nero, con gli attori ormai morti da anni, e riportati in vita, a camminare e sorridere, grazie ad un lungo nastro di nitrato di cellulosa. Quante pellicole, perse nel passato, e quanto lavoro, per restaurarne una ... Perché il mondo, prima di distruggere e ingoiare quanto abbiamo prodotto, rende ogni cosa ingiallita, sbiadita, inutilizzabile. Morta in vita, come fanno molti di noi, che trascurano di essere se stessi, che non coltivano il proprio intimo, e si lasciano andare, inesorabilmente, ingiallendo prima del tempo.

Scorrono le immagini del ballo …

http://youtu.be/Hr2ehyOz2Ms

Gli occhi di lei luccicano, sprizzano gioia, desiderio. Ecco il contatto, la scusa, il fattore delirio ... un ballo ... movimenti un po’ leggeri un po’ vorticosi, mentre gli sguardi affondano, si toccano, scendono dove solo il cuore sa, e può, rispondere. E poi ... già, è sempre la donna che decide, che attira l'uomo nella sua rete. E' lei che, con la scusa di offrirgli una sigaretta, lo invita ad uscire, ad allontanarsi dalla folla, a lasciare alle spalle tutti i rumori, ad annegare il resto del mondo ...


Un passaggio tra le rose, a forare un buio che attira a sé ogni perversione ... sguardi che trapanano la notte, e la morbida luce del cerino ad illuminarne il viso già meravigliosamente seducente, fino a disegnare riflessi caldi della fiamma su una guancia.

"Who ...are...you?"

Le chiede lui, intimorito da quella presenza sconosciuta ... chi sei ...

"What does it matter"

Ma cosa importa saperlo, risponde la sconosciuta ... e lo fa con voce flebile, sembra quasi di poterne percepire le parole, il tono deciso ma senza alcuno spirito di polemica. Che senso può avere, saperlo ... sapere chi siamo, chi ci ha messi al mondo, il nostro lavoro, i nostri affetti, la somma dei dolori e dei piaceri che si sono stratificati sul corpo e sull'anima. Siamo qua, io e te; io per te e tu per me. Conta solo questo. Oggi.

"I'm going to see you again...often".

"Perhaps ...".

Forse ... Forse ... Perché dover ipotecare il futuro, affrettare tempi, prevedere incontri, fissare appuntamenti, volere una continuazione quando neppure sappiamo cosa faremo e dove finiremo. Vale anche per noi, questo concetto, nell’attimo esatto in cui usciremo da questo cinema e separeremo le nostre vite. Viviamo adesso, ora, questo istante, e non pensiamo a domani, al prossimo incontro. Magari non ci sarà, non succederà più di incontrarci. Forse … chissà … Perhaps …

You are ... very beautiful".

"You are ... very young".

Lei fa scorrere la sigaretta tra le dita, immergendola nelle labbra schiuse, umettandola di rossetto, sfiorandola con la saliva. Lievemente. E poi, sempre lentamente, guardandolo senza abbassare gli occhi, senza cedimento alcuno, gli porge quella sigaretta, con un gesto intimo e familiare, permettendogli così di aspirare il sapore delle sue labbra, del suo rossetto, il retrogusto della sua essenza. E’ un invito. Secco. Palese. Senza alternative. E’ l’espressione di un bisogno impellente, intessuto di sguardi accesi e brucianti, miranti all'unico contatto possibile tra due esseri viventi, iniziale, ancestrale, indimenticabile: il primo bacio.

Il respiro di lei si fa più affannoso, sospira, siamo al culmine del desiderio. Trema lei, trema lui, trema la luce baluginante della fiamma sul cerino. Poi la spegne lei, con un soffio ... non serve fumare. No, ora non serve.

E c’è quel bacio, famosissimo. Intenso. Violento. Rapace. Rubato forse a quella donna che, mentre la festa impazza, non sa nulla di come la follia amorosa possa far intersecare due individui in pochi attimi. Attimi vissuti senza ritegno, senza barriere, senza muri e maschere.

E ci siamo noi, qui, in questo cinema, ad osservare un incendio d'amore tra perfetti sconosciuti. Hai voglia di baciarmi, mentre le mie mani sono salite piano fino alla fascia di silicone delle tue autoreggenti, e da lì si stanno insinuando attorno alla scia di carne che sta accompagnando le mie dita tra le tue labbra, sui bordi del centro della tua femminilità. Mi lasci fare, vuoi che impazzisca al solo al pensiero delle mie mani, delicate, infilate tra le tue cosce, e tu senza intimo, che ti muovi delicatamente, inumidendo le mie dita, e io a non poter fare altro. Continui ad accarezzare coi tuoi capelli le mie guance rosse di desiderio, accavallando ripetutamente le gambe, stringendole per sfregarti sulle mie dita ... madide di te ...

La carne e il diavolo, la perversione tra noi … dalla pellicola a noi spettatori, colti da improvviso delirio mentre scorrono i fotogrammi del film, e l'orchestra suona ... mentre, poco alla volta, si insinua quell’attimo di paradiso che ci regalerà un lunghissimo bacio di piacere, a denti stretti, quasi senza fiato, due esseri fusi, incollati per le labbra.

Non potrò far altro, dopo l’applauso finale, che uscire da questo cinema, e infilarmi con te per le strade nebbiose di questa città sconosciuta. Potrò solo godere di pochi, ultimi baci, mentre il vetro appannato andrà sbrinandosi, mano a mano che l’aria calda circolerà nell'abitacolo della vettura. 

Resterà l’odore di te, tra le mie dita, mentre le lascio scorrere ancora ed ancora sui contorni del tuo viso, e bacio, per l’ultima volta, le tue labbra, quasi più senza rossetto.

 Eclissi

sabato 1 settembre 2012

La camicia bianca




Ieri pomeriggio, tornato a casa, avevo voglia di una Donna che mi togliesse la camicia bianca. Piano, lentamente.

Che passasse le sue mani sui miei capezzoli, sfiorando il tessuto bianco e il mio corpo. Facendoli inturgidire con la sua saliva, la sua lingua. La sua voglia.

Avrei voluto sentirmi baciare su tutta la schiena, dal collo, alla nuca, morsi alternati ad una lingua curiosa, bagnata, a scendermi fino al culo, per morderlo impietosamente lasciandomi le tracce dei suoi denti. Dappertutto.

Avrei voluto che mi odorasse, come una bestia in calore, alla ricerca di un corpo su cui sfamarsi, assetata dei miei liquidi, che da lì a poco avrebbe fatto sgorgare a fiotti. Senza controllo. Senza misura.

Avrei voluto che me la togliesse, quella camicia bianca, impregnata del mio odore dopo averla tenuta un giorno sulla mia pelle. Bottone dopo bottone. Strappando anche tutti i bottoni, ma uno alla volta, sfiorando ad ogni asola la mia pelle con le sue unghie curiose.

Avrei avuto voglia di sentirla scoprire tutte le mie voglie per lei accogliendomi nella sua bocca.

Vorrei, ora, che sono nuovamente qui, con una diversa camicia bianca, che lei la togliesse subito e mi entrasse dovunque, fino al cuore. Fino dove riuscirà a spingersi.

Non voglio essere continuamente candido, come quella camicia.

Voglio che vada dentro di me, a illuminare tutte le mie ombre.
A insinuarsi negli angoli oscuri di me.

In modo naturale. In modo osceno. Senza che io possa capirci più nulla.

Senza che io possa accorgermi del passare del tempo.

Voglia di essere nelle sue mani. Nella sua bocca. Per un tempo infinito.

Senza più niente che non sia la mia pelle.

Senza più altro scopo che restare stretto a lei.

Eclissi

giovedì 23 agosto 2012



Vorrei che ti potessi risvegliare così, con questa fantasia che ha illuminato il mio inizio di giornata, e mi ha riportato a te con un sorriso malizioso.

Ti ho immaginata risvegliarti accaldata e piena di pensieri che roteano nella tua testa, arrovellata come i tuoi capelli ricci e corvini, inestricabili.

Ti allunghi fino al bordo del letto, ti togli solo le minuscole mutandine che indossi e immagini che io, inginocchiato, conficchi il mio viso tra le tue cosce ... poi le stringi, per riscaldarmi col calore rovente che hai lì in mezzo, accumulato durante la notte, un delirio di pensieri dietro l'altro.

Desidero che tu mi faccia perdere i sensi, tappandomi le orecchie con tutta la forza che hai, mentre il naso soffoca tra le tue gocce di lavico piacere ... sì, te ne prego, fotografa la mia schiena e il mio culo, nello specchio dietro di noi, col tefonino, la mia testa che quasi sta uscendo da te, i tuoi seni turgidi che mi sfiorano i capelli, le tue mani che scivolano dalla nuca in giù, lente, senza fretta. Poi spediscimi quella foto, ma soprattutto le tue parole, un pensiero che dovrà intrigarmi per tutta la giornata.

Sembra un parto, questo mio ritorno alla vita mentre emergo dal tuo liquido amniotico. Entro ed esco da te, senza pause, senza vergogna. Lavato ad ogni respiro.

Sono qui, ai tuoi piedi. Guardami. Mentre ti inarchi e rantoli, senza più lasciarmi andare.

Ho voglia di Donna, aperta, slabbrata, madida di umori. Apriti per me, infilati fino in fondo una, due, tre dita, fammi percepire il suono della carne che naviga tra i flutti del tuo piacere, sciabordio che procede ad onde, calma e tempesta.
Non ha mai avuto timore nel mostrarmi come raggiungi il tuo piacere, con le mani e con le mie voglie.  Assaggiati, drena quegli umori fino alle tue labbra secche, e poi baciami. Senza ritegno. Baciami. Sorridi maliziosa, lo sai quanto mi piace il tuo sguardo da bambina un po' puttana.

Di cosa sai? Intingimi le palpebre, ho caldo e ho voglia di portare il tuo odore con me, oggi, per tutto il giorno. Disegna una parola sul mio petto ...

Come potresti addormentarti di nuovo, adesso, con queste mie voglie, mentre io esco di casa con te? Con te addosso, attorno, dentro?

Voglio odorare di te. E tu dimmi di cosa odorerai per me, oggi.

Fallo. In qualche modo.

Inventati il mio prossimo orgasmo.

Fammi immaginare il nostro incontro serale. Per cogliere di nuovo, tra le tue cosce nivee, tese sui tacchi altissimi, quel sapore che hai preparato per me, senza intimo. Passo dopo passo. Nella tua giornata.

Per me.

Per non farti più dimenticare.

Eclissi

sabato 18 agosto 2012

Threesome



Quando mi hai avvicinato dolcemente le labbra all'orecchio, sapevo che mi avresti fatto una richiesta: pensa a una donna. Ho chiuso gli occhi e ho cercato nella memoria un corpo femminile che mi eccitasse. Hai pensato?, mi hai chiesto con le dita che esploravano il mio sesso. Calma, ho risposto, sorpresa subito dopo dal tuo viso tra le mie gambe. Con gli occhi chiusi, pensavo ai seni più belli che avessi mai visto, che avevo voluto toccare. Capezzoli piccoli e rotondi. Anche tu, sicuro che io stessi pensando ad una donna, forse pensavi a lei. Alla stessa o a un'altra. E così abbiamo fatto l'amore per ore, instancabili, in tutti gli angoli di casa, attaccandoci al corpo dell'altro, lo stesso corpo. Poi, ci siamo sdraiati sul letto e tu ti sei messo a chiedere a chi avessi mai pensato, se esisteva, com'era. Bionda? Bruna? Se avevo mai fatto l'amore con una donna, se mi eccitavano le donne. Allora abbiamo ricominciato, tu eccitato dalle mie risposte, io eccitata a raccontarti le mie storie, a inventare storie.

[Tatiana Salem Levy, La chiave di casa, Cavallo di Ferro, 2011]

Questo pomeriggio mi sono messo a rintracciare il significato del termine "Threesome"... colmo la mia tremenda ignoranza passando per Wikipedia, e leggo:

Con threesome (dall'inglese, letteralmente: gruppo di tre persone) si intende una forma di sesso di gruppo a cui partecipano tre persone in qualsiasi tipo di combinazione.

Ecco ... ma allora, potrei definire "Threesome" anche la fantasia erotica dipinta da Tatiana, nello stralcio citato?

C'è lui, lei, l'altra. L'altra nei pensieri di lei, nell'immaginario di lui. Nella testa di entrambi. Un'immagine, un desiderio, una perversione. Comunque c'è un terzo soggetto, non proprio reale - ma credo conti poco - che si presenta nei contorni desiderati, con le caratteristiche sognate, la stessa creatura per entrambi, o due diverse, che si fonderanno fino a modellare quell'essere "terzo" nella relazione di biunivoca reciprocità.

Threesome ... sesso almeno a tre ... e la terza persona combinata come ci piace ... uomo, donna, fantasma cerebrale uomo, fantasma cerebrale donna ... la collega di lavoro, il commesso del negozio di lingerie ...

Quanti di noi, quanti, hanno delle compagne con cui poter condividere queste fantasie, anche senza necessità immediata o bisogno concreto di metterle in pratica?

E Quante di voi sono disposte, persino un attimo prima di abbandonarsi ai piaceri dell'amore, a raccontare all'amato le proprie ebollizioni mentali, a inventare storie, a far volare la fantasia sentendosi libere di farlo e di non essere prese per pazze o ninfomani?

La immagino, lei, che mi chiama, affannata, eccitata, e mi dice, lasciandomi di stucco:

"Ho nella testa un'idea: l'immagine di te, di un nuovo incontro, con la presenza di un'altra donna, e il sesso su di me portato da un uomo e da una donna. Fantasia".

Fantasia ...

Threesome ... una parola.

Eclissi

giovedì 16 agosto 2012

Perchè lei - Annemarie Schwarzenbach



Ricordo bene, quel 1998. Prima rimasi colpito dall'intera pagina "cultura", a lei dedicata, da un quotidiano italiano, Il Giornale. Riporto qui sotto l’articolo a firma di Giampaolo Martelli, intitolato “Faccia d’angelo e i suoi demoni”. Tutto partì dalla folgorazione della storia raccontata nell’articolo, dalla foto di quel viso, apparentemente felice, sulle amate montagne dell’Engadina, in Svizzera, col cane adorato. Da lì, sì, da lì origina il mio amore per le donne “danneggiate”, bellissime e con dolori impossibili da risolvere.
Non so più che fine abbia fatto il giornalista che scrisse quel pezzo, ma lo ritengo uno degli articoli più belli ed emozionali della mia vita. In piena pagina la sua foto, la foto di Annemarie.
Annemarie, ricchissima, colta, raffinata, bellissima, e distante, distante.
Annemarie, il suo amore per le donne, per una sola donna, che non la riamò, Erika. Si può voler amare, per l'intera vita, quell'unica donna che mai la ricambierà?
Annemarie, drogata alla follia, costruttrice di mondi inesistenti, provò a suicidarsi senza riuscirvi, in più di un'occasione.
Annemarie, che alla fine si sposò con un diplomatico che non amò proprio.

Annemarie, che si imbarcò da Trieste per andare a sposare il suo uomo a Teheran. Matrimonio di pure apparenze, tanto …


Annemarie, che viaggiò moltissimo, fu una delle pochissime donne a poterlo fare, allora, rischiando la vita su percorsi difficoltosi;


Annemarie che, in fondo alla sua giovanissima vita, cadde in bicicletta, una banale caduta nella sua Engadina, attorno a Sils, e se ne andò, destino maledetto. Morte a cui forse anelava, ma che non riuscì mai a darsi da sola, in vita. Bastò un sasso, una caduta accidentale, voluta chissà da chi. E perchè proprio in quell’istante.
Dopo quell'articolo, riferito ad una mostra milanese a lei dedicata, iniziai ad incuriosirmi.
Chi fu Annemarie? Una scrittrice? Non penso proprio, ci provò, solo ora i suoi libri sono un "cult" per coloro che la amarono. Una giornalista? Neppure, credo, anche se i suoi articoli, e le sue foto, sono qualcosa di straordinario, per gli anni in cui visse. Fu uno specchio della decadenza della sua epoca, e ben rappresentò le dissolutezze che precedettero i disperati, confusi, anni della Seconda Guerra Mondiale.
Comperai due libri su di lei dal primo editore italiano che ne pubblicò la biografia, un editore donna che seleziona solo lavori di donne, sulle donne, per le donne. Luciana Tufani editrice.
Li ricevetti a casa, sono racchiusi nei bauli che contengono i tanti libri che compongono il tassello delle mie letture.
LEI, COSI' AMATA. E' anche il titolo della bellissima biografia romanzata che le dedicò la bravissima scrittrice Melania Mazzucco, dopo qualche anno di ricerche in Svizzera. Trovi questo libro anche in versione economica, fantastico.
Tutto qui.
L’inizio del mio percorso alla ricerca di donne “bellissime” e “danneggiate”. Loro mi vengono vicino, è sbagliato dire che io le cerco.
Forse, semplicemente, le attendo.
Buona lettura.
Eclissi
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Vent'anni, nel 1928, in uno dei suoi primi scritti, Conversazione, sintetizza con queste parole ciò che sarà il principio essenziale della sua vita: "Volete vivere con prudenza. Che cosa credete possa derivare dalla prudenza? Solo altra prudenza. Siete schiavi della vostra prudenza. Dove credete che vi porti - essa elude le strade pericolose (non avete visto che sono queste a portare più in alto?) (...) ogni genere di profondità è pericolosa. La prudenza rende piatta la vostra vita. E rende piatti anche voi". Annemarie Schwarzenbach ha presto lasciato la retta via per prendere solo strade difficili o, come dirà lei stessa, vie tortuose, deviazioni, vie sbagliate, senza uscita, strade notturne e vuote nelle grandi metropoli, piste carovaniere, mulattiere, sentieri tra i boschi e le colline dell'infanzia o tra i boschetti di melograni e i giardini d'Oriente. Tragitti, linee tracciate sulla carta, elementi del paesaggio, ma contemporaneamente anche percorsi nella sua geografia interiore e corporea. Ad ogni suo scritto corrisponde un viaggio realmente compiuto che diventa la base del suo lavoro, un elemento così indispensabile da farle affermare spesso di non essere adatta a nessun genere di vita sedentaria.
[Tina d'Agostini, introduzione alla biografia di Annemarie Schwarzenbach]
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FACCIA D'ANGELO E I SUOI DEMONI



Una mostra fotografica a Milano e la traduzione di due opere a 90 anni dalla nascita della più bella ed anticonformista scrittrice del Novecento.

Lo sguardo sembra che contempli l'infinito. I capelli corti alla garçon, leggermente ondulati sulle tempie, i lineamenti aristocratici, in un abito maschile nero e la cravatta annodata su una camicia bianca, Annemarie Schwarzenbach tiene tra le dita una sigaretta. Potrebbe essere il ritratto di un giovane dandy, di un esteta diafano, enigmatico e malinconico. A ritrarla è Marianne Breslauer, allieva e assistente di Man Ray, che avrebbe detto: "Non avevo mai visto nessuno come lei, se mi avessero detto che era l'arcangelo Gabriele e che mi trovavo davanti al Paradiso ci avrei creduto. Non sembrava né un uomo  né una donna, ma un angelo, un arcangelo, così come io immagino un arcangelo".


Era il 1931, e quella fotografia esposta in una libreria di Zurigo in occasione della pubblicazione di "Gli amici di Bernhard" fu trafugata nella notte da alcuni sconosciuti che infransero la vetrina. Qualche anno dopo, lo scrittore Roger Martin du Gard le dedica un libro ringraziandola "per portare su questa terra quel bel volto d'angelo inconsolabile". Ma dietro l'angelo che vuole volare oltre i confini umani, si nascondono lacerazioni e inquietudini, passioni e frustrazioni, aneliti verso l'assoluto e pulsioni autodistruttive che fanno di Annemarie Schwarzenbach - prima ancora che una scrittrice, una giornalista, una viaggiatrice - la protagonista di una vicenda umana sublime e insieme dannata.
Diventata un'autrice di culto in Svizzera, in Germania, in Francia e negli Stati Uniti, l'interesse su questa "figlia del secolo" si è accesa anche in Italia. Contemporaneamente ad una mostra delle fotografie di Marianne Breslauer, promossa dal Centro culturale svizzero (ospitata nella sede di via Vecchio Politecnico a Milano, e aperta fino al 7 novembre) sono usciti "Morte in Persia" (edizioni e/o) e La valle felice (Luciana Tufani editrice).
Nata nel 1908 da una famiglia dell'alta borghesia imprenditoriale svizzera, Annemarie Schwarzenbach cresce nel "paradiso" di Bocken, una villa, a pochi chilometri da Zurigo, immersa tra boschi e prati. I primi anni sono quelli di una bambina allegra e vivace, gioca con i fratelli e le sorelle, fa lunghe passeggiate con il padre Alfred, un uomo colto e amabile. I rapporti con la madre, Renée Wille, sono contorti e complicati. Avendo desiderato nascere maschio, trasferisce questa aspirazione su Annemarie, la figlia prediletta, indirizzandola verso uno stile di vita virile. La veste da maschietto con calzoncini di pelle bavaresi, poi la traveste da paggio, da soldato e da  marinaio. Vorrebbe che la ragazza diventasse una provetta cavallerizza ma Annemarie - a differenza della madre - non ama l'equitazione.
A Bocken intanto s'insedia stabilmente la cantante lirica Emmy Kruger che diventa l'amica del cuore di Renée: Di tanto in tanto le due donne scompaiono per  alcuni giorni. La relazione di Annemarie con la madre diventa conflittuale. Successivamente, Annemarie Schwarzenbach trascorre due anni nel collegio femminile di Fetan per poi iscriversi nel 1927 alla facoltà di Storia e Letteratura dell'Università di Zurigo. Gli occhi grigio-azzurri su un volto pallido, vestita con ricercata eleganza, quando compare nell'atrio dell'ateneo gll studenti smettono di chiacchierare e la guardano con ammirazione. Prima di laurearsi nel 1931 trascorre un breve periodo a New York e per un anno frequenta i corsi alla Sorbona di Parigi. Tra le opere che scrive vi è la trilogia delle "Novelle parigine" e "Ruth". Frequentando il caffè di Montparnasse conosce poeti, artisti e modelle. E però la Germania ad attrarre Annemarie Schwarzenbach che va a Monaco e dopo a Berlino. A Monaco conosce Erika e Klaus Mann, i figli del "mago" Thomas, uniti da un amore incestuoso ma non esclusivo. Affascinata da Erika, sicura disinibita e ribelle, Annemarie se ne innamora ma ben presto si rende conto che può rimanere solo ai margini della coppia. Erika si lascia amare ma rifiuta qualsiasi rapporto privilegiato. Comunque, i due fratelli diventano per Annemarie un sostegno e l'aiuteranno ad allontanarsi dalla madre. E sono ancora i due Mann ad avviare l'amica svizzera all'uso della morfina.

Berlino all'inizio degli anni Trenta è la città più libera del mondo. Offre emozioni, piaceri, frenesie erotiche. In quell'ambiente creativo e trasgressivo,  Annemarie è convinta di trovare se stessa. Si tuffa nella vita notturna e non va mai a dormire prima dell'alba. E attirata dai locali e dai cabaret degli omosessuali e dei travestiti come l'Eldorado e il Topkeller, dove si dà appuntamento una variegata fauna umana che ha infranto la morale borghese. Cerca di vincere la sua insicurezza, bevendo e sperimentando nuove relazioni amorose. Ma quegli eccessi, e la sua incapacità a vivere con leggerezza la rendono infelice. Uno stato d'animo che si ritrova nella "Novella lirica".  La vocazione di Annemarie Schwarzenbach è quella di scrivere ma anche di viaggiare. Sono tre i viaggi che compie in Persia dal 1933 al 1935. Durante il suo primo soggiorno, conosce il diplomatico francese Claude Clarac, un giovane di tendenze omosessuali, che le chiede di sposarlo. Ritornata in Svizzera, dopo un tentativo di suicidio, Annemarie riparte per diventare la moglie di Claude. Ma il matrimonio non funziona. Sofferente nell'animo e nel Corpo, il panorama che contempla è desolato e irreale. La "malattia persiana" è raccontata in "Morte in Persia" e in "La valle felice", una riscrittura in chiave lirica e visionaria del primo libro. Quella di Annemarie è una lotta contro i demoni interiori e l'opacità del mondo. Gli ultimi anni della sua vita li trascorre in una continua fuga. In lei si alternano slanci vitali e cadute nella depressione.
Per disintossicarsi dalla morfina entra ed esce da cliniche e ospedali psichiatrici. Continua a spostarsi con frenesia da un Continente all'altro. Forse per cercare una patria perduta. Con Barbara Hamilton-Wright attraversa più volte gli Stati Uniti. Si reca in Urss per compiere ricerche su Larenz Saladin, uno scalatore morto tragicamente. Sempre in automobile, insieme ad Ella Maillart, intraprende un avventuroso viaggio verso l'Afghanistan. Da sola va in India. Poi parte per l'America con Margot von Opel e il marito Fritz. A New York accade un episodio drammatico. La scrittrice Carson McCullers, la "Monaca deviante" della letteratura americana, conosce Annemarie, se ne innamora follemente e vuole che vada a vivere con lei. Annemarie rifiuta. Ma si trova al centro della gelosia di Margot e della Carson. Nel 1940, durante un raptus, Annemarie in una camera dell'hotel Pierre cerca di strangolare Margot von Opel, dopodiché tenta di uccidersi tagliandosi le vene dei polsi.
La morte arriva due anni dopo in Svizzera. Il l 5 novembre 1942 in seguito alle ferite riportate in un incidente cadendo in bicicletta, Annemarie Schwarzenbach si spegne.
[Il Giornale, 12/10/1998, Giampaolo Martelli, Album]

martedì 14 agosto 2012

Monsieur, Ellie e il Calaferte





Buonasera,

non è necessario che lei sappia chi sono, anche se ha gentilmente accettato la mia richiesta di amicizia … va bene, glielo dirò: sono la nipote di Philippe Cantrel, che fino a poco fa era un suo collega in clinica. E’ da lui che sono venuta a sapere che lei è un appassionato di Bataille e Calaferte … confesso di nutrire una certa curiosità nei confronti degli uomini che hanno letto e amato “La meccanica delle donne”, è una cosa che mi fa sentire meno sola …!

Detto questo, mi chiamo Ellie, ho vent’anni, studio Lettere e scrivo per una rivista letteraria erotica. Nulla di diverso da ciò che verrebbe a conoscere leggendo il mio profilo su Facebook, ma mi sembrava corretto descrivermi almeno un po’.

Sono certa che lei è molto impegnato, tuttavia se un giorno trovasse il tempo di spiegarmi in poche righe che cosa le è piaciuto di Calaferte, ne sarei molto lieta. Io stessa sto scrivendo una “Meccanica degli uomini” e qualunque informazione riesca a raccogliere è la benvenuta.

Le auguro una buona serata.

Ellie

[Emma Becker, Monsieur, Dalai Editore, 2012]

Oddio ... e cosa potrei mai rispondere, ad Ellie, se fosse destinata a me questa mail, e dovessi esprimermi sull'adorato Louis Calaferte? Adesso sono in crisi ... notte insonne, direi,e mattinata agitata!!!

Ah no ... non pensiate stia cercando una Lolita di vent'anni, come Ellie ... ma ... una ragazza come lei, che ha letto Calaferte ed è appassionata di letteratura erotica, esisterà, da qualche parte? 
......
......

Bacio

Eclissi

Ps: nell'immagine la scrittrice ...

mercoledì 25 luglio 2012

Gocce di me

Pensavo a me, sabato pomeriggio, in montagna, quando ho scattato quella foto che hai ricevuto.

Ero solo, chiuso in casa. Fuori pioveva a dirotto, uno dei soliti acquazzoni montani. C’è un corpo che vedi, ma pensieri che non sai, che non pronuncerò. Riesci ad immaginarli col cuore, dolce amica?

La pioggia lascia il suo rumore mentre impatta sui vetri. Guardo le montagne dinanzi a me, con la loro possenza, il loro senso di universo, di spazi temporali troppo lunghi per essere consumati con le nostre scarpe, vissuti dentro i nostri occhi.



Mi osservo dentro, mentre mi specchio sul vetro, e guardo fuori.

Vorrei che una lei si avvicinasse e mettesse in comune con me la sua solitudine, il suo senso di abbandono, quella paura che a volte ci blocca, portandoci a fantasticare fino a comporre divinità, mondi pronti ad accogliere il nostro altrove, al di là del teatrino in cui ci stanno facendo recitare.

Non voglio girarmi verso di lei, voglio solo che apponga il suo corpo al mio, e che il suo calore si fonda col mio, fino a divampare di voglie inespresse. immobilizzandomi alla finestra e facendo bruciare la mia pelle abbronzata con le striature incandescenti provocate dallo scorrere dei suoi capezzoli turgidi, appuntiti. Su di me.

E, sempre così, sentendola agitare il suo pube sui miei glutei, vorrei esplodere addosso ai vetri di quella finestra. finalmente rigata dalle gocce d'acqua che battono fuori, e dalle mie, appiccicose, che scivolerebbero più lente, dentro.

Quante vite potenziali ho sprecato, sbattendole su quel vetro gelido, in attesa che la natura faccia il so corso … e non è che sto sprecando la mia, di vita?

Che dualità esiste, in me? E in te? Parlamene, se vuoi. Perché una faccia di quello che siamo vorrebbe scoppiare, e si trattiene?



E perché la gioia dell’altra è solo buffonaggine per nascondere un reale vuoto?
Sospiri e respiri. Catene sul corpo, e mente che vola libera. Perché non tutto può mai essere libero, in questa vita?

Cambiare.

L’unica parola. Girarsi e urlare a quella Donna - che entra in punti di piedi nella camera, che teme di spogliarsi, teme di essere vista - di fare in fretta. Di fregarsene se, fuori, mentre piove, qualcuno osserva attento, nascosto dietro tendine ricamate.

Perché l’amore è un attimo, ed è meglio coglierlo.
Ora, subito, senza indugi.
Non dove capita, ma dove lo percepisco adeguato a me.

Eclissi

domenica 15 luglio 2012

Il sapore di un (nuovo) giorno di ordinaria magia



http://youtu.be/VmLqumt9lf4

Siamo anime schizzate.
Nel deserto all'improvviso
C'è un cartello che ci avvisa:
"Benvenuti In Paradiso".
E tu che graffi sottopelle.
Come polvere di stelle.

[Negrita, un giorno di ordinaria magia]


Sono già sveglio, questa mattina. E' dalle 4 che ho gli occhi aperti, penso, rifletto, vivo. Mi agito, mi sfioro, e l'eccitazione è tanta, come capita a volte, meditando sull'amore, su di te che vorrei accanto, sul desiderio impetuoso che talvolta mi prende. Il mio pene è tesissimo e lucido, dolorante quasi, esagitato dalla voglia che mi batte dentro, perché è la testa che comanda.
Lei dorme, ed io sono qui, che mi agito, e mi sfioro.

Piacere di pensarti, in questo tuo percorso lungo e faticoso verso la valorizzazione di quanto di meglio possiedi, di quello che covi dentro e fuori non si vede, non lo notano, non appare. Dicevi di sentirti anonima, di non destare eccessive attenzioni, di non trascinare occhi a frugare rapaci, su di te. Ma non è certo l'esteriorità ciò che mi ha portato ad incrociare la tua direzione, che mi ha convinto di te, avvinto in te. C'è la tua nera palude interiore che abbiamo illuminato assieme, un passo alla volta, mano nella mano, senza fretta. E ora il corpo che ti avvolge è ritornato a incrociare la tua interiorità, a risvegliarsi; lo mostri con sicurezza per piacere a me e agli altri, senza peraltro esibirlo, trattandolo come un dono di eleganza e classe, perfetta espressione dell'autostima di te che hai recentemente riconquistato. Ora sì, riesci a raccontarmi, senza vergogna, i desideri che coltivi, e sei libera di esprimerti senza sensi di colpa e pregiudizi. Sai equilibrare malinconia e variabilità, giornate nere da incubo e arcobaleni di emozioni. Sei finalmente capace di dirmi che mi desideri, corpo e anima. TUTTO.

E' quello che hai sempre voluto. Essere senza "muri e maschere" con un essere amato, capìta e vissuta da me che provo a farti come da specchio riflettente, attento a non disperdere e sprecare l'immagine e la personalità che via via sta emergendo, in continuo cambiamento e perfezionamento. Ci sono io, nelle tue voglie, e il resto del mondo se ne starà fuori, per un po'. L'accordo è di evitare di declinare progetti, pianificare obiettivi; metteremo da parte l'atroce peso della quotidianità, e ci regaleremo la libertà di esserci o di sparire, di coglierci quando ne avremo voglia, o semplicemente di vivere lunghi silenzi, il Nulla che talvolta siamo, che dobbiamo essere, che è sempre e comunque fonte di arricchimento.

Ragionavo, poco fa, su quanto gli uomini si differenzino dalle donne per il loro tentativo, poco sincero peraltro, di mostrarsi inquadrati, forti, senza cedimenti, tutti d'un pezzo. Perché non confessare, ogni tanto, un desiderio, un'immaginazione ... è una debolezza, questa? E' fragilità o ricchezza interiore? Perché dobbiamo costruirci tanti falsi pudori?

Consentimi di essere diretto, con te, stamattina, e di dirti quello che vibra nella mia mente, ora, adesso. Ho aperto la finestra della cucina, e c'è una grandissima Luna piena, evidente, si staglia laggiù, ed osserva la mia nudità. Ho voglia. Nudo alla finestra. "Mi voglio" per pulsare di te, per sentirmi vivo mentre la testa brucerà di te. E' buio, fuori, anche se ci sono i rumori della mattina, i primi di un mondo che sbadiglia. Tra poco spegnerò la luce, e osserverò quell'enorme palla nivea, ricca di crateri, i segni del tempo sul suo delicato involucro. Il resto, cosa inizierò a fare, lo dovrai immaginare. Sta a te, ora, intuire i miei occhi chiusi, e l'urlo compresso dentro, amplificato nella mente. Per te.

Scorrono anche ricordi, in questa testa che non vuole proprio silenziarsi. Ripenso alle notti che seguirono il contatto con la prima donna della mia vita, le ricordo bene, quelle ore buie che mi videro masturbarmi quasi alla pazzia, lei se ne era già andata lontano, e la volevo, la desideravo in tutti i modi possibili. Intuivo che non l'avrei più rivista, ma sapevo che quel breve contatto di corpi, quasi di sole labbra avrebbe esaltato a dismisura l'eccitazione di sentirmi finalmente completo, amato, unicità per un "altro da me" e immagine del Paradiso felice da cui forse siamo stati cacciati, in attesa di ritornarvi, chissà. E sapevo che avrei cercato "per sempre" quell'attimo, per assaporarlo di nuovo. Desideravo che lei si prendesse cura di me e della mia inesperienza, le sue mani ovunque, sul mio corpo, la sua bocca dove nessuna era mai arrivata, e dove ora vorrei la tua, dove ora ci sei tu. Non capivo niente di quel contatto tra pelli da cui partivano brividi e lampi e tremori, ero troppo giovane, troppo inesperto, troppo poco tutto, ma lo desideravo. Ardentemente. Volevo quelle palpitazioni brucianti, quei circuiti di stomaco a cui non riuscivo a dare pace. Non ci poteva essere altro sbocco e miglior calmante di un orgasmo, ricco di quel liquido rovente che feci schizzare da me, quella mattina, e lasciai depositato sul mio corpo fino a che le lacrime dovute alla prima perdita d'amore non finirono di rigare il mio volto; fino ad una bozza di sorriso, quando Sole e Luna si passarono il testimone.

Nulla si perde, degli esseri che ci hanno amato. Nulla, nulla. Ma lo capii dopo, e lo so, adesso, con te, dopo averti persa e ripresa più volte.

Ammetto di assomigliarti, sai? Corpo e mente che si collegano tra loro sfiorando un organo, accarezzandosi in un punto preciso. Mentre la mente fantastica, il corpo risponde, trema, abbandona ogni guida da parte della razionalità. Organi che sono una sorta di bottoni ancestrali i quali, se premuti nel modo opportuno, riescono a scatenare reazioni di benessere, e attivare meccanismi inspiegabili in grado di renderci più soddisfatti, pieni, colmati - almeno temporaneamente - in quei buchi neri che spesso ci divorano e ci stremano senza darci un attimo di pace.

Ti immagino, sai, mentre leggerai queste mie strampalate riflessioni, nel tuo ufficio, sorseggiando il primo caffè della settimana. Ti penso curiosa di sapere come finirà questo mio inizio di giornata, mentre le sensazioni, riga dopo riga, inizieranno a stratificarsi in te, incrementando il tuo desiderio.
La mia immaginazione "inquadra" il tuo sguardo che scorre sulle mie parole, il respiro che si fa più affannoso, la necessità di allontanarti dalla scrivania, quindi una corsa in bagno, tanto per liberarti da eccessive costrizioni. No, le colleghe non noteranno ciò che farai, non arriveranno a tanto. Camicetta e pelle, un solo bottone aperto, e pantaloni leggeri, con nulla sotto. Dopo esserti seduta, avvertirai il piacere di pelle e cuore messi a nudo, tanto diretti e scoperti. Rileggerai i miei pensieri ed inizierai a scrivermi, poi, accavallando le gambe, contrarrai lentamente i muscoli vaginali, come so riesci tanto bene a fare, come a volte mostri anche a lui, nei momenti in cui ti piace il contatto tra le pareti interne e il suo pene che ti esplora, senza mai arrivare al vero nodo da cui si dipana tutto il mondo che non conosce. Ad ogni respiro i tuoi seni accarezzeranno la stoffa leggera della camicetta, rendendosi da soli turgidi ed eccitati.
Sono certo che starai avvertendo il piacere che deriva da questa lettura, e la scrittura inizierà a fluirti, come il liquido d'inchiostro intimo che starà gocciando per macchiare, viscido, la delicata pelle che riveste il centro della tua femminilità. Le tue cosce, nude, inizieranno quelle oscillazioni con cui le porterai a sfiorare le grandi labbra; a lungo, lentamente, insieme di vibrazioni che si stratificheranno per amplificarsi nella tua testa, il nucleo di tutto.Ti sentirai ... in questo, e solo per me, ma attorno a te non lo noteranno, qui ci siamo solo io e te, le nostre parole, e il potere della scrittura.

Rimarrai così, per tutta la giornata, con quella tensione di voglie inappagate e quegli umori ed odori trattenuti dentro di te, in un contesto di eccitazione da cui non saprai e non vorrai liberarti. Lascerai alla sera lo sfogo di quell'intero giorno di voglie, saranno la prima bevanda che mi offrirai, assaggiandoti, raccontandoti, sapori mischiati a parole, a pensieri, alla scrittura. Affidati forse ad una telefonata in cui libererai tutto il pensiero osceno di me, lasciato lievitare tra testa e cuore. Che parole inventerai, in quell'istante di perdita di controllo?

Sapori di un giorno, maturati lentamente. Miei e tuoi.

La Luna è piena, ed ha senso continuare a fantasticare, fino al momento che sai. Che ora lascio a te descrivere.

Racconta, te ne prego, i miei occhi, le pulsazioni del mio corpo, i brividi che mi trapasseranno tutto mentre le gambe si immobilizzeranno, tremando ... tratterrò un urlo, perché lei potrebbe sentirmi, ma non i sospiri, gli ansiti legati alla mia voglia di te. Di te che vorrei inginocchiata qui, ai miei piedi, senza alcuna richiesta di sottomissione, vogliosa di cogliere tutta l'esplosione in cui tra poco mi trasformerò, linfa di vita e di nuova forza per affrontare il giorno che sta sorgendo.

Buon risveglio, amore.

Eclissi

martedì 10 luglio 2012

La piscina con idromassaggio

Ma che dolci, i massaggi in acqua termale ... oggi seconda seduta. Lo scopo è sempre lo stesso, cercare di correggere la mia notoria rigidità muscolare, e consentirmi di rilassare il corpo, di lasciarmi andare, di sbriciolare la tensione accumulata nei mesi invernali, ingorgo di lavoro, famiglia, scrittura, ricerca inutile di evasione, carenza di brividi e palpitazioni.
Io, nelle sue mani ... finalmente, completamente. Capita una volta all'anno, ed è il mio rito estivo, una consuetudine d'amore per me a cui non so rinunciare. A cui non voglio rinunciare.

Me lo merito.
Mi merito.

Lei è una donna, una fisiokinesiterapista. Una graziosa, giovane Donna. A cui affido il mio corpo, lo consegno nelle sue piccole mani, alla sua delicatezza, alla dolcezza che comunque passa, da pelle a pelle, ed è un travaso d'amore.
Curioso che lei non sappia (nè saprà mai, ovviamente) che è trascorso oltre un anno e mezzo dal mio ultimo contatto sentito, intenso ed intimo, con delle mani altrui. Mani femminili. Mani volute, mani desiderate, mani a cui non avrei potuto e saputo dire di no. E' a causa di questa compressione del corpo, di questo costante soffocare le sue richieste, le sue aspettative, i suoi bisogni, che si genera una crescente rigidità dei muscoli (collo e schiena, in particolare) e poi, di riflesso, un blocco interiore; si tratta di una mancata elasticità, anche emozionale, che, ne sono sempre più convinto, acquisirei facendo più spesso l'amore, o del sesso. No, non mi soffermerei a ricercare adesso quale sia il concetto più adatto alla mia situazione, visto che in letteratura scientifica si sostiene, a volte, che "il sesso è amore" ...

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"L'amore è attrazione, desiderio, piacere ... e basta!"

"La verità è che non siamo mai veramente noi stessi se non quando facciamo l'amore, e non realizziamo veramente ciò che siamo se non siamo pronti a sentire il piacere che ci travolge, ci sommerge, ci incalza, ci trascina. Verso dove? Verso nessuna destinazione che conosciamo, verso nessun luogo del passato e quindi dei confronti".

"E poi occorre sapere che l'amore è un balsamo, il più potente di tutti i farmaci. Ci innamoriamo per curarci, per guarirci, per evolvere, non per attaccarci a qualcuno".

[Raffaele Morelli, il sesso è amore, Mondadori, 2008]ù


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E' importante sottolineare come il sesso e l'amore, entrambi se fosse possibile, entrambi fusi assieme, siano davvero in grado di donarci un immediato potenziamento del nostro sistema immunitario, e ci facciano percepire "diversi" agli occhi altrui. Lo "stato erotico" cambia completamente il nostro rapporto con le persone che incontriamo, coi colleghi di lavoro, è un benessere diffuso che pervade le attività che svolgiamo e ci ritroviamo come d'incanto più reattivi, più propositivi, vitali, presenti.
Oh, che discorsi difficili, oggi ...

Prima che lei arrivasse mi sono immerso nella grande piscina, sotto i bocchettoni di acqua e aria opportunamente miscelate tra loro. Senza che nessuno mi vedesse - in quell'angolo e a quell'ora ero solo - ho fatto scendere un po' i pantaloncini, lasciando che il getto massaggiante si insinuasse ovunque, dietro e attorno a me. Sentivo le potenti spinte lungo i fianchi, sui glutei, nella sensibile zona perianale, e la forza del soffio d'acqua attorno all'anello dell'ano. Poi ... mi sono girato, e ho continuato a massaggiare con il flusso d'acqua il ventre, il pene, i testicoli.

Strano, trovarsi inginocchiato, praticamente nudo, davanti a folate impetuose di bolle vive ... 

La mia mente è riuscita persino ad inerpicarsi in strani pensieri, per esempio alle sensazioni che le donne descrivono quando bersagliano il clitoride con l'acqua calda della doccia. Alcune raggiungono orgasmi molto intensi, e immagino cosa possa generare il getto di una piscina con idromassaggio. Le Donne sanno tutto, prima degli uomini ...

Quando arriva lei, aspetto che si giri per prendere gli attrezzi dedicati al mio corpo, e mi tiro su i
pantaloncini, avvicinandomi sorridendo, pronto per una nuova seduta. Il solito me, carino, educato e pronto per essere condotto in una navigazione che, lo ricordo dalla volta scorsa, sarà prima dei sensi e poi del corpo.

Inizia sciogliendo i miei muscoli, pregandomi di lasciarmi andare.

"Fidati, mollati, abbandonati", la sento dire.

Dovrei sentire quella voce anche nella vita, durante le riunioni, quando parlo con i colleghi, quando discuto con loro, quando incontro persone sconosciute, quando mi chiudo in me stesso come un riccio, pronto a difendermi con gli aculei della parola senza riuscire mai ad esplorare il mondo altrui con gli occhi, con il tatto, con il cuore.

Mi sciolgo solo quando, in un modo che percepisco materno e tenero, lei fa appoggiare i miei capelli vicino al suo petto, muovendomi delicatamente, come fossi parte del suo corpo, e, lei, estensione del mio. Le orecchie scivolano poco alla volta a pelo d'acqua, e a quel punto perdo completamente il controllo di me. Di quel me sempre razionale, sempre ipercontrollato, con la testa ad arrovellarsi di continuo su pensieri, situazioni, progetti, schemi, risultati, conseguenze.
Ora non ho nulla che possa muovere e riportare a me ... le braccia sono mollemente perse nell'acqua, ho le gambe bloccate, e il collo e la nuca nelle sue mani. E così, smarrendo la posizione, mi ritrovo a volteggiare come un gabbiano nel cielo, con scarti, planate, stalli. Lei a direzionare il mio volo, a spostarmi sulla destra, sulla sinistra, girandomi a piacere, confondendo le mie certezze e la stabilità, fino a togliermi il senso dell'orientamento. 

Bella, la sua voce lontana, sopra di me, un po' metallica ed un po' ovattata, e piacevole percepire il suono del mio respiro, e l'alito di lei, vicinissimo al mio. Ma possibile che siano necessari questi momenti per comprendere la bellezza di due respiri che si sincronizzano e si fondono, tesi allo stesso obiettivo, una trasmissione di dolcezza e amore?

Decido di starmene ad occhi chiusi, per evitare di osservarla negli occhi, per lasciarla fare, libera da ogni controllo. Due esseri autonomi, dipendenti solo nell'istante del contatto. Il resto fuori, inesistente, e noi, scevri da inquinamenti, maschere, posizioni sociali, barriere e muri.
Sembravo veramente un giovane gabbiano condotto ad esplorare un liquido quasi amniotico, per mano di una Donna. Volteggi, movimenti, su e giù con la spina dorsale, cavalcando quel fluido delicato, caldo, ricco di vapori.

Ricordate il gabbiano Jonathan Livingstone, di Bach? Che voglia  rileggermi un passo, posso farlo? Mi consentite di respirare la pace e la libertà delle immagini di Richard?

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Arrivarono ch'era già sera. E trovarono Jonathan che volava librato, solo e in pace con se stesso, nel libero cielo che lui tanto amava. I due gabbiani che, a un tratto, gli comparvero d'accanto, uno di qua e uno di là, erano candidi come la luna, e dalle loro piume emanava un chiarore blando, suadente, nell'aria che imbruniva. Ma più amabile ancora era la grazia, l'abilità, con cui volavano, mantenendo fra le punte delle rispettive ali, una breve e costante distanza.
Senza profferir parola, Jonathan volle metterli alla prova. Una prova che mai nessun gabbiano aveva superato. Impresse sulle sue ali una torsione tale che gli permise di rallentare, fino al limite estremo, a un soffio dallo stallo. Ebbene, quei due radiosi uccelli, pure loro, rallentarono con lui, gli restarono alla pari, senza sforzo. Altrochè se s'intendevano, di volo lento.
Allora lui, raccolte le ali, rotò e si buttò giù in picchiata a centonovanta miglia all'ora. E quelli si tuffarono con lui, sfrecciando insieme a lui in perfetta formazione.
Infine lui compì, nella cabrata, un lungo mulinello verticale. E quelli volteggiarono con lui, tutti giulivi.

[Richard Bach, Il gabbiano Jonathan Livingstone]

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Ma quanto è bello, mormoravo tra me e me, mettermi per un giorno, per un'ora, nelle delicate mani di una Donna. Farmi bendare con lo scopo di tenere gli occhi chiusi e perdere il controllo della mia vita. Lasciar parlare il mio corpo, che sta sempre in silenzio, chiuso nei soliti, eleganti vestiti, strozzato da cravatte di seta, fasciato da sciarpe, cappotti, isolato dai brividi che può dare solo la pelle altrui.

Una Donna. Ecco cosa vorrei, cosa ci vuole. Una Donna, non una a caso ma un Essere Speciale, a cui consentire (prima di applicare a lei la reciprocità della relazione) di dedicarsi a me.
Ad un me coperto solo da una benda sugli occhi, per evitare di vedere, ma con la finalità principale di "sentire", "percepire", "osservare" con tutti gli altri sensi.

E così l'immaginazione è corsa ad una situazione intrigante, inaspettata ... mi ritrovo nudo, assieme a questa nuova lei, con una benda di seta nera sul viso, in realtà una fascia che prima le ricopriva i seni, dei magnifici e sodi seni. Fascia che le avevo abbassato, a scoprire una sola mammella, per far traboccare il capezzolo e torturarlo fino a sentirne la punta durissima tra le mie labbra umide. Avverto le sue mani scorrermi sul collo e la sento mormorare:

"E se ci facessi scorrere la lingua, sul tuo collo, e ti mordessi??"

Puttana e maliziosa, lei. Intrigante. Lenta, lentissima. Non ha fretta. Ha tutto il tempo per me. Mi sfiora, e mi lascia immaginare cosa farebbe, cosa mi farà, di lì a poco. Senza toccarmi, scorrendo solo i polpastrelli sul mio viso rosso per la sorpresa, madido di paura, sconvolto dalla perdita di controllo, e dall'affidarmi, ancora una volta, a mani sconosciute.

E prosegue, con voce flebile:

"Lo farei, ma senza farti male però ...
Un lento salire e scendere...
Dalla spalle all'orecchio
E poi alle labbra
Al mento
E di nuovo collo....

Adoro farlo..."

Puff ...

"Abbiamo finito. Ma si è addormentato?" ...

La mia specialista mi risveglia, mi riporta alla vita. Mi rimette in posizione verticale, poco per volta, per evitare traumi o giramenti di testa. Riprendo la solita normalità.

E capisco che il sogno, per oggi, è terminato. Ma il pensiero di quella Donna no, quello continua e continuerà a lungo.

Eclissi