mercoledì 25 luglio 2012

Gocce di me

Pensavo a me, sabato pomeriggio, in montagna, quando ho scattato quella foto che hai ricevuto.

Ero solo, chiuso in casa. Fuori pioveva a dirotto, uno dei soliti acquazzoni montani. C’è un corpo che vedi, ma pensieri che non sai, che non pronuncerò. Riesci ad immaginarli col cuore, dolce amica?

La pioggia lascia il suo rumore mentre impatta sui vetri. Guardo le montagne dinanzi a me, con la loro possenza, il loro senso di universo, di spazi temporali troppo lunghi per essere consumati con le nostre scarpe, vissuti dentro i nostri occhi.



Mi osservo dentro, mentre mi specchio sul vetro, e guardo fuori.

Vorrei che una lei si avvicinasse e mettesse in comune con me la sua solitudine, il suo senso di abbandono, quella paura che a volte ci blocca, portandoci a fantasticare fino a comporre divinità, mondi pronti ad accogliere il nostro altrove, al di là del teatrino in cui ci stanno facendo recitare.

Non voglio girarmi verso di lei, voglio solo che apponga il suo corpo al mio, e che il suo calore si fonda col mio, fino a divampare di voglie inespresse. immobilizzandomi alla finestra e facendo bruciare la mia pelle abbronzata con le striature incandescenti provocate dallo scorrere dei suoi capezzoli turgidi, appuntiti. Su di me.

E, sempre così, sentendola agitare il suo pube sui miei glutei, vorrei esplodere addosso ai vetri di quella finestra. finalmente rigata dalle gocce d'acqua che battono fuori, e dalle mie, appiccicose, che scivolerebbero più lente, dentro.

Quante vite potenziali ho sprecato, sbattendole su quel vetro gelido, in attesa che la natura faccia il so corso … e non è che sto sprecando la mia, di vita?

Che dualità esiste, in me? E in te? Parlamene, se vuoi. Perché una faccia di quello che siamo vorrebbe scoppiare, e si trattiene?



E perché la gioia dell’altra è solo buffonaggine per nascondere un reale vuoto?
Sospiri e respiri. Catene sul corpo, e mente che vola libera. Perché non tutto può mai essere libero, in questa vita?

Cambiare.

L’unica parola. Girarsi e urlare a quella Donna - che entra in punti di piedi nella camera, che teme di spogliarsi, teme di essere vista - di fare in fretta. Di fregarsene se, fuori, mentre piove, qualcuno osserva attento, nascosto dietro tendine ricamate.

Perché l’amore è un attimo, ed è meglio coglierlo.
Ora, subito, senza indugi.
Non dove capita, ma dove lo percepisco adeguato a me.

Eclissi

domenica 15 luglio 2012

Il sapore di un (nuovo) giorno di ordinaria magia



http://youtu.be/VmLqumt9lf4

Siamo anime schizzate.
Nel deserto all'improvviso
C'è un cartello che ci avvisa:
"Benvenuti In Paradiso".
E tu che graffi sottopelle.
Come polvere di stelle.

[Negrita, un giorno di ordinaria magia]


Sono già sveglio, questa mattina. E' dalle 4 che ho gli occhi aperti, penso, rifletto, vivo. Mi agito, mi sfioro, e l'eccitazione è tanta, come capita a volte, meditando sull'amore, su di te che vorrei accanto, sul desiderio impetuoso che talvolta mi prende. Il mio pene è tesissimo e lucido, dolorante quasi, esagitato dalla voglia che mi batte dentro, perché è la testa che comanda.
Lei dorme, ed io sono qui, che mi agito, e mi sfioro.

Piacere di pensarti, in questo tuo percorso lungo e faticoso verso la valorizzazione di quanto di meglio possiedi, di quello che covi dentro e fuori non si vede, non lo notano, non appare. Dicevi di sentirti anonima, di non destare eccessive attenzioni, di non trascinare occhi a frugare rapaci, su di te. Ma non è certo l'esteriorità ciò che mi ha portato ad incrociare la tua direzione, che mi ha convinto di te, avvinto in te. C'è la tua nera palude interiore che abbiamo illuminato assieme, un passo alla volta, mano nella mano, senza fretta. E ora il corpo che ti avvolge è ritornato a incrociare la tua interiorità, a risvegliarsi; lo mostri con sicurezza per piacere a me e agli altri, senza peraltro esibirlo, trattandolo come un dono di eleganza e classe, perfetta espressione dell'autostima di te che hai recentemente riconquistato. Ora sì, riesci a raccontarmi, senza vergogna, i desideri che coltivi, e sei libera di esprimerti senza sensi di colpa e pregiudizi. Sai equilibrare malinconia e variabilità, giornate nere da incubo e arcobaleni di emozioni. Sei finalmente capace di dirmi che mi desideri, corpo e anima. TUTTO.

E' quello che hai sempre voluto. Essere senza "muri e maschere" con un essere amato, capìta e vissuta da me che provo a farti come da specchio riflettente, attento a non disperdere e sprecare l'immagine e la personalità che via via sta emergendo, in continuo cambiamento e perfezionamento. Ci sono io, nelle tue voglie, e il resto del mondo se ne starà fuori, per un po'. L'accordo è di evitare di declinare progetti, pianificare obiettivi; metteremo da parte l'atroce peso della quotidianità, e ci regaleremo la libertà di esserci o di sparire, di coglierci quando ne avremo voglia, o semplicemente di vivere lunghi silenzi, il Nulla che talvolta siamo, che dobbiamo essere, che è sempre e comunque fonte di arricchimento.

Ragionavo, poco fa, su quanto gli uomini si differenzino dalle donne per il loro tentativo, poco sincero peraltro, di mostrarsi inquadrati, forti, senza cedimenti, tutti d'un pezzo. Perché non confessare, ogni tanto, un desiderio, un'immaginazione ... è una debolezza, questa? E' fragilità o ricchezza interiore? Perché dobbiamo costruirci tanti falsi pudori?

Consentimi di essere diretto, con te, stamattina, e di dirti quello che vibra nella mia mente, ora, adesso. Ho aperto la finestra della cucina, e c'è una grandissima Luna piena, evidente, si staglia laggiù, ed osserva la mia nudità. Ho voglia. Nudo alla finestra. "Mi voglio" per pulsare di te, per sentirmi vivo mentre la testa brucerà di te. E' buio, fuori, anche se ci sono i rumori della mattina, i primi di un mondo che sbadiglia. Tra poco spegnerò la luce, e osserverò quell'enorme palla nivea, ricca di crateri, i segni del tempo sul suo delicato involucro. Il resto, cosa inizierò a fare, lo dovrai immaginare. Sta a te, ora, intuire i miei occhi chiusi, e l'urlo compresso dentro, amplificato nella mente. Per te.

Scorrono anche ricordi, in questa testa che non vuole proprio silenziarsi. Ripenso alle notti che seguirono il contatto con la prima donna della mia vita, le ricordo bene, quelle ore buie che mi videro masturbarmi quasi alla pazzia, lei se ne era già andata lontano, e la volevo, la desideravo in tutti i modi possibili. Intuivo che non l'avrei più rivista, ma sapevo che quel breve contatto di corpi, quasi di sole labbra avrebbe esaltato a dismisura l'eccitazione di sentirmi finalmente completo, amato, unicità per un "altro da me" e immagine del Paradiso felice da cui forse siamo stati cacciati, in attesa di ritornarvi, chissà. E sapevo che avrei cercato "per sempre" quell'attimo, per assaporarlo di nuovo. Desideravo che lei si prendesse cura di me e della mia inesperienza, le sue mani ovunque, sul mio corpo, la sua bocca dove nessuna era mai arrivata, e dove ora vorrei la tua, dove ora ci sei tu. Non capivo niente di quel contatto tra pelli da cui partivano brividi e lampi e tremori, ero troppo giovane, troppo inesperto, troppo poco tutto, ma lo desideravo. Ardentemente. Volevo quelle palpitazioni brucianti, quei circuiti di stomaco a cui non riuscivo a dare pace. Non ci poteva essere altro sbocco e miglior calmante di un orgasmo, ricco di quel liquido rovente che feci schizzare da me, quella mattina, e lasciai depositato sul mio corpo fino a che le lacrime dovute alla prima perdita d'amore non finirono di rigare il mio volto; fino ad una bozza di sorriso, quando Sole e Luna si passarono il testimone.

Nulla si perde, degli esseri che ci hanno amato. Nulla, nulla. Ma lo capii dopo, e lo so, adesso, con te, dopo averti persa e ripresa più volte.

Ammetto di assomigliarti, sai? Corpo e mente che si collegano tra loro sfiorando un organo, accarezzandosi in un punto preciso. Mentre la mente fantastica, il corpo risponde, trema, abbandona ogni guida da parte della razionalità. Organi che sono una sorta di bottoni ancestrali i quali, se premuti nel modo opportuno, riescono a scatenare reazioni di benessere, e attivare meccanismi inspiegabili in grado di renderci più soddisfatti, pieni, colmati - almeno temporaneamente - in quei buchi neri che spesso ci divorano e ci stremano senza darci un attimo di pace.

Ti immagino, sai, mentre leggerai queste mie strampalate riflessioni, nel tuo ufficio, sorseggiando il primo caffè della settimana. Ti penso curiosa di sapere come finirà questo mio inizio di giornata, mentre le sensazioni, riga dopo riga, inizieranno a stratificarsi in te, incrementando il tuo desiderio.
La mia immaginazione "inquadra" il tuo sguardo che scorre sulle mie parole, il respiro che si fa più affannoso, la necessità di allontanarti dalla scrivania, quindi una corsa in bagno, tanto per liberarti da eccessive costrizioni. No, le colleghe non noteranno ciò che farai, non arriveranno a tanto. Camicetta e pelle, un solo bottone aperto, e pantaloni leggeri, con nulla sotto. Dopo esserti seduta, avvertirai il piacere di pelle e cuore messi a nudo, tanto diretti e scoperti. Rileggerai i miei pensieri ed inizierai a scrivermi, poi, accavallando le gambe, contrarrai lentamente i muscoli vaginali, come so riesci tanto bene a fare, come a volte mostri anche a lui, nei momenti in cui ti piace il contatto tra le pareti interne e il suo pene che ti esplora, senza mai arrivare al vero nodo da cui si dipana tutto il mondo che non conosce. Ad ogni respiro i tuoi seni accarezzeranno la stoffa leggera della camicetta, rendendosi da soli turgidi ed eccitati.
Sono certo che starai avvertendo il piacere che deriva da questa lettura, e la scrittura inizierà a fluirti, come il liquido d'inchiostro intimo che starà gocciando per macchiare, viscido, la delicata pelle che riveste il centro della tua femminilità. Le tue cosce, nude, inizieranno quelle oscillazioni con cui le porterai a sfiorare le grandi labbra; a lungo, lentamente, insieme di vibrazioni che si stratificheranno per amplificarsi nella tua testa, il nucleo di tutto.Ti sentirai ... in questo, e solo per me, ma attorno a te non lo noteranno, qui ci siamo solo io e te, le nostre parole, e il potere della scrittura.

Rimarrai così, per tutta la giornata, con quella tensione di voglie inappagate e quegli umori ed odori trattenuti dentro di te, in un contesto di eccitazione da cui non saprai e non vorrai liberarti. Lascerai alla sera lo sfogo di quell'intero giorno di voglie, saranno la prima bevanda che mi offrirai, assaggiandoti, raccontandoti, sapori mischiati a parole, a pensieri, alla scrittura. Affidati forse ad una telefonata in cui libererai tutto il pensiero osceno di me, lasciato lievitare tra testa e cuore. Che parole inventerai, in quell'istante di perdita di controllo?

Sapori di un giorno, maturati lentamente. Miei e tuoi.

La Luna è piena, ed ha senso continuare a fantasticare, fino al momento che sai. Che ora lascio a te descrivere.

Racconta, te ne prego, i miei occhi, le pulsazioni del mio corpo, i brividi che mi trapasseranno tutto mentre le gambe si immobilizzeranno, tremando ... tratterrò un urlo, perché lei potrebbe sentirmi, ma non i sospiri, gli ansiti legati alla mia voglia di te. Di te che vorrei inginocchiata qui, ai miei piedi, senza alcuna richiesta di sottomissione, vogliosa di cogliere tutta l'esplosione in cui tra poco mi trasformerò, linfa di vita e di nuova forza per affrontare il giorno che sta sorgendo.

Buon risveglio, amore.

Eclissi

martedì 10 luglio 2012

La piscina con idromassaggio

Ma che dolci, i massaggi in acqua termale ... oggi seconda seduta. Lo scopo è sempre lo stesso, cercare di correggere la mia notoria rigidità muscolare, e consentirmi di rilassare il corpo, di lasciarmi andare, di sbriciolare la tensione accumulata nei mesi invernali, ingorgo di lavoro, famiglia, scrittura, ricerca inutile di evasione, carenza di brividi e palpitazioni.
Io, nelle sue mani ... finalmente, completamente. Capita una volta all'anno, ed è il mio rito estivo, una consuetudine d'amore per me a cui non so rinunciare. A cui non voglio rinunciare.

Me lo merito.
Mi merito.

Lei è una donna, una fisiokinesiterapista. Una graziosa, giovane Donna. A cui affido il mio corpo, lo consegno nelle sue piccole mani, alla sua delicatezza, alla dolcezza che comunque passa, da pelle a pelle, ed è un travaso d'amore.
Curioso che lei non sappia (nè saprà mai, ovviamente) che è trascorso oltre un anno e mezzo dal mio ultimo contatto sentito, intenso ed intimo, con delle mani altrui. Mani femminili. Mani volute, mani desiderate, mani a cui non avrei potuto e saputo dire di no. E' a causa di questa compressione del corpo, di questo costante soffocare le sue richieste, le sue aspettative, i suoi bisogni, che si genera una crescente rigidità dei muscoli (collo e schiena, in particolare) e poi, di riflesso, un blocco interiore; si tratta di una mancata elasticità, anche emozionale, che, ne sono sempre più convinto, acquisirei facendo più spesso l'amore, o del sesso. No, non mi soffermerei a ricercare adesso quale sia il concetto più adatto alla mia situazione, visto che in letteratura scientifica si sostiene, a volte, che "il sesso è amore" ...

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"L'amore è attrazione, desiderio, piacere ... e basta!"

"La verità è che non siamo mai veramente noi stessi se non quando facciamo l'amore, e non realizziamo veramente ciò che siamo se non siamo pronti a sentire il piacere che ci travolge, ci sommerge, ci incalza, ci trascina. Verso dove? Verso nessuna destinazione che conosciamo, verso nessun luogo del passato e quindi dei confronti".

"E poi occorre sapere che l'amore è un balsamo, il più potente di tutti i farmaci. Ci innamoriamo per curarci, per guarirci, per evolvere, non per attaccarci a qualcuno".

[Raffaele Morelli, il sesso è amore, Mondadori, 2008]ù


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E' importante sottolineare come il sesso e l'amore, entrambi se fosse possibile, entrambi fusi assieme, siano davvero in grado di donarci un immediato potenziamento del nostro sistema immunitario, e ci facciano percepire "diversi" agli occhi altrui. Lo "stato erotico" cambia completamente il nostro rapporto con le persone che incontriamo, coi colleghi di lavoro, è un benessere diffuso che pervade le attività che svolgiamo e ci ritroviamo come d'incanto più reattivi, più propositivi, vitali, presenti.
Oh, che discorsi difficili, oggi ...

Prima che lei arrivasse mi sono immerso nella grande piscina, sotto i bocchettoni di acqua e aria opportunamente miscelate tra loro. Senza che nessuno mi vedesse - in quell'angolo e a quell'ora ero solo - ho fatto scendere un po' i pantaloncini, lasciando che il getto massaggiante si insinuasse ovunque, dietro e attorno a me. Sentivo le potenti spinte lungo i fianchi, sui glutei, nella sensibile zona perianale, e la forza del soffio d'acqua attorno all'anello dell'ano. Poi ... mi sono girato, e ho continuato a massaggiare con il flusso d'acqua il ventre, il pene, i testicoli.

Strano, trovarsi inginocchiato, praticamente nudo, davanti a folate impetuose di bolle vive ... 

La mia mente è riuscita persino ad inerpicarsi in strani pensieri, per esempio alle sensazioni che le donne descrivono quando bersagliano il clitoride con l'acqua calda della doccia. Alcune raggiungono orgasmi molto intensi, e immagino cosa possa generare il getto di una piscina con idromassaggio. Le Donne sanno tutto, prima degli uomini ...

Quando arriva lei, aspetto che si giri per prendere gli attrezzi dedicati al mio corpo, e mi tiro su i
pantaloncini, avvicinandomi sorridendo, pronto per una nuova seduta. Il solito me, carino, educato e pronto per essere condotto in una navigazione che, lo ricordo dalla volta scorsa, sarà prima dei sensi e poi del corpo.

Inizia sciogliendo i miei muscoli, pregandomi di lasciarmi andare.

"Fidati, mollati, abbandonati", la sento dire.

Dovrei sentire quella voce anche nella vita, durante le riunioni, quando parlo con i colleghi, quando discuto con loro, quando incontro persone sconosciute, quando mi chiudo in me stesso come un riccio, pronto a difendermi con gli aculei della parola senza riuscire mai ad esplorare il mondo altrui con gli occhi, con il tatto, con il cuore.

Mi sciolgo solo quando, in un modo che percepisco materno e tenero, lei fa appoggiare i miei capelli vicino al suo petto, muovendomi delicatamente, come fossi parte del suo corpo, e, lei, estensione del mio. Le orecchie scivolano poco alla volta a pelo d'acqua, e a quel punto perdo completamente il controllo di me. Di quel me sempre razionale, sempre ipercontrollato, con la testa ad arrovellarsi di continuo su pensieri, situazioni, progetti, schemi, risultati, conseguenze.
Ora non ho nulla che possa muovere e riportare a me ... le braccia sono mollemente perse nell'acqua, ho le gambe bloccate, e il collo e la nuca nelle sue mani. E così, smarrendo la posizione, mi ritrovo a volteggiare come un gabbiano nel cielo, con scarti, planate, stalli. Lei a direzionare il mio volo, a spostarmi sulla destra, sulla sinistra, girandomi a piacere, confondendo le mie certezze e la stabilità, fino a togliermi il senso dell'orientamento. 

Bella, la sua voce lontana, sopra di me, un po' metallica ed un po' ovattata, e piacevole percepire il suono del mio respiro, e l'alito di lei, vicinissimo al mio. Ma possibile che siano necessari questi momenti per comprendere la bellezza di due respiri che si sincronizzano e si fondono, tesi allo stesso obiettivo, una trasmissione di dolcezza e amore?

Decido di starmene ad occhi chiusi, per evitare di osservarla negli occhi, per lasciarla fare, libera da ogni controllo. Due esseri autonomi, dipendenti solo nell'istante del contatto. Il resto fuori, inesistente, e noi, scevri da inquinamenti, maschere, posizioni sociali, barriere e muri.
Sembravo veramente un giovane gabbiano condotto ad esplorare un liquido quasi amniotico, per mano di una Donna. Volteggi, movimenti, su e giù con la spina dorsale, cavalcando quel fluido delicato, caldo, ricco di vapori.

Ricordate il gabbiano Jonathan Livingstone, di Bach? Che voglia  rileggermi un passo, posso farlo? Mi consentite di respirare la pace e la libertà delle immagini di Richard?

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Arrivarono ch'era già sera. E trovarono Jonathan che volava librato, solo e in pace con se stesso, nel libero cielo che lui tanto amava. I due gabbiani che, a un tratto, gli comparvero d'accanto, uno di qua e uno di là, erano candidi come la luna, e dalle loro piume emanava un chiarore blando, suadente, nell'aria che imbruniva. Ma più amabile ancora era la grazia, l'abilità, con cui volavano, mantenendo fra le punte delle rispettive ali, una breve e costante distanza.
Senza profferir parola, Jonathan volle metterli alla prova. Una prova che mai nessun gabbiano aveva superato. Impresse sulle sue ali una torsione tale che gli permise di rallentare, fino al limite estremo, a un soffio dallo stallo. Ebbene, quei due radiosi uccelli, pure loro, rallentarono con lui, gli restarono alla pari, senza sforzo. Altrochè se s'intendevano, di volo lento.
Allora lui, raccolte le ali, rotò e si buttò giù in picchiata a centonovanta miglia all'ora. E quelli si tuffarono con lui, sfrecciando insieme a lui in perfetta formazione.
Infine lui compì, nella cabrata, un lungo mulinello verticale. E quelli volteggiarono con lui, tutti giulivi.

[Richard Bach, Il gabbiano Jonathan Livingstone]

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Ma quanto è bello, mormoravo tra me e me, mettermi per un giorno, per un'ora, nelle delicate mani di una Donna. Farmi bendare con lo scopo di tenere gli occhi chiusi e perdere il controllo della mia vita. Lasciar parlare il mio corpo, che sta sempre in silenzio, chiuso nei soliti, eleganti vestiti, strozzato da cravatte di seta, fasciato da sciarpe, cappotti, isolato dai brividi che può dare solo la pelle altrui.

Una Donna. Ecco cosa vorrei, cosa ci vuole. Una Donna, non una a caso ma un Essere Speciale, a cui consentire (prima di applicare a lei la reciprocità della relazione) di dedicarsi a me.
Ad un me coperto solo da una benda sugli occhi, per evitare di vedere, ma con la finalità principale di "sentire", "percepire", "osservare" con tutti gli altri sensi.

E così l'immaginazione è corsa ad una situazione intrigante, inaspettata ... mi ritrovo nudo, assieme a questa nuova lei, con una benda di seta nera sul viso, in realtà una fascia che prima le ricopriva i seni, dei magnifici e sodi seni. Fascia che le avevo abbassato, a scoprire una sola mammella, per far traboccare il capezzolo e torturarlo fino a sentirne la punta durissima tra le mie labbra umide. Avverto le sue mani scorrermi sul collo e la sento mormorare:

"E se ci facessi scorrere la lingua, sul tuo collo, e ti mordessi??"

Puttana e maliziosa, lei. Intrigante. Lenta, lentissima. Non ha fretta. Ha tutto il tempo per me. Mi sfiora, e mi lascia immaginare cosa farebbe, cosa mi farà, di lì a poco. Senza toccarmi, scorrendo solo i polpastrelli sul mio viso rosso per la sorpresa, madido di paura, sconvolto dalla perdita di controllo, e dall'affidarmi, ancora una volta, a mani sconosciute.

E prosegue, con voce flebile:

"Lo farei, ma senza farti male però ...
Un lento salire e scendere...
Dalla spalle all'orecchio
E poi alle labbra
Al mento
E di nuovo collo....

Adoro farlo..."

Puff ...

"Abbiamo finito. Ma si è addormentato?" ...

La mia specialista mi risveglia, mi riporta alla vita. Mi rimette in posizione verticale, poco per volta, per evitare traumi o giramenti di testa. Riprendo la solita normalità.

E capisco che il sogno, per oggi, è terminato. Ma il pensiero di quella Donna no, quello continua e continuerà a lungo.

Eclissi